Attentati dei terroristi pro-ISIS contro i cristiani in Sri Lanka. Siamo tornati all’epoca di Sir Francis Drake, “pirata senza bandiera”. Ma ancora al servizio di Sua Maestà Britannica ? Comunque, si tratta dell’ennesimo misterioso atto di pirateria che si verifica lungo la rotta della “Via della Seta”. E intanto “ricompare”, guarda caso, il Califfo Al Bagdadi.

Il giorno di Pasqua l’ex-colonia britannica di Ceylon è stata sconvolta da serie di sanguinosi attentati senza precedenti: a Colombo e in altre due località si contano quasi trecento vittime dopo le violente esplosioni che hanno devastato chiese e alberghi. Le autorità attribuiscono la responsabilità della strage ad un gruppuscolo islamista, ma mettono bene in evidenza le complicità a livello internazionale: in un Paese senza storia di terrorismo islamico alla spalle, è inverosimile che una sigla quasi sconosciuta compia un’impresa così sofisticata. Dietro la strage è leggibile la volontà di indebolire l’industria turistica e destabilizzare la politica cingalese: Colombo, infatti, è tra le nazioni dell’Oceano Indiano più inserite nella Via della Seta Cinese. Destino cinico e baro: le stesse accidentali disgrazie erano già capitate ad altri Paesi che hanno aderito ai protocolli di collaborazione della “Via della Seta”, come la Malesia e la Birmania.

Behemot cinese contro Leviatano angloamericano 

( Il Behemoth , è una creatura leggendaria biblica, menzionata nel Libro di Giobbe, come il Leviatano, due figure mitologiche, di potenza equipollente,  imbattibili, se non dal loro creatore Dio).

 

Il giorno di Pasqua è stato un giorno di sangue in Sri Lanka, ex-colonia britannica (21 milioni di abitanti) strategicamente posizionata davanti alle coste indiane: una sofisticata serie di attentati ha colpito la capitale Colombo (almeno 82 morti), la città di Negombo (almeno 104 morti) e la città sulla costa orientale di Batticaloa (almeno 28 morti). Luoghi di culto cristiani (nel Paese a maggioranza buddista, circa l’8% della popolazione professa la religione cristiana ed un 9% è di fede mussulmana) e alberghi sono finiti nel mirino degli attentatori, causando vittime locali e straniere. Per lo Sri Lanka l’attentato è un fulmine a ciel sereno: benché reduce dalla violenta e prolungata insurrezione nel nord del Paese (che aveva contrapposto le Tigri Tamil, a maggioranza hinduista, al governo centrale), nel Paese non si erano mai verificati simili episodi di terrorismo, estesi per di più al turismo straniero ( ndr. l’inesauribile e strategica miniera d’oro per l’economia dello Sri Lanka). All’indomani della strage, le autorità cingalesi hanno individuato i responsabili in una quasi sconosciuta organizzazione islamista (National Thowheeth Jama’ath), evidenziano, però, che l’attuazione di un simile attacco coordinato necessitasse di qualche “supporto internazionale”. La stessa stampa specializzata occidentale, nel frattempo, si è domandata quali ragioni abbiano potuto indurre “estremisti della minoranza mussulmana” a colpire “la minoranza cristiana”. Sull’isola, infatti, non c’è mai stata alcuna traccia precedente né di ISIS o di Al Qaida , né tantomeno alcuna casistica di fanatismo islamico.

Leggendo la stampa anglosassone si comprende come l’attentato abbia avuto un chiaro fine, ed effetto, destabilizzante : dopo la vertiginosa crescita del PIL di inizio millennio, lo Sri Lanka è stato costretto nel 2016 a contrarre un debito di 1,5 mld$ con il Fondo Monetario Internazionale e la strage di Pasqua, colpendo il turismo, ha gravemente ferito un’industria che è la principale fonte di valuta straniera ed è una colonna portante della crescita economica cingalese.

Se a ciò si aggiunge la natura dell’obiettivo (la minoranza cristiana, storicamente invisa a qualche grande potenza occidentale) e degli “esecutori ISIS” (il terrorismo islamico, tradizionale paravento e longa manus di attività ed interessi dei servizi di intelligence : sauditi, israeliani ed angloamericani), si hanno elementi a sufficienza per uscire dalla mera cronaca e scrivere un’analisi che collochi i fatti di sangue del 21 aprile in una più appropriata cornice geopolitica. Come avevamo sottolineato a inizio anno, la sfida tra Cina e angloamericani sta entrando nel vivo e non c’è continente che ne possa essere risparmiato: meno che mai lo Sri Lanka, che presidia la rotta tra la Cina meridionale, il Corno d’Africa ed il canale di Suez.

Chi avesse seguito negli anni gli sforzi cinesi per costruirsi una serie di basi navali attorno a quella che Mackinder chiama “World-Island” (Isola Mondo), ricorderà come Pechino sia riuscita a installarsi a Gibuti nel 2017. Ogni arcipelago dell’Oceano Indiano, dalle Mauritius alle Seychelles, è stato però oggetto delle attenzioni cinesi (e, di riflesso, di quella statunitensi): persino dietro al terremoto politico che investì le Maldive nei primi mesi del 2018 è possibile scorgere una manovra per defenestrare il presidente Abdulla Yameen, reo, secondo Foreign Policy”, di consegnare l’arcipelago mussulmano a Pechino.

Gli sforzi cinesi sembravano aver ottenuto un grande risultato pochi mesi dopo il precipitare della situazione alle Maldive quando, nell’estate 2018, appariva la notizia che i cinesi si fossero insediati in una strategica isola dell’Oceano Indiano, già architrave delle vie di comunicazione dell’impero britannico tra l’Africa orientale e l’Estremo oriente: lo Sri Lanka (alias Ceylon).

Sri Lanka to shift naval base to China-controlled port city” scrive la Reuters nel luglio 20184, asserendo che il governo di Colombo aveva ceduto l’ottimo porto di Hambantota ai cinesi, decisi a trasformarlo in un nodo strategico della Via della Seta marittima. USA, Giappone e India, continuava Reuters, erano però convinti che l’investimento cinese potesse avere anche risvolti militari. Da allora, i cinesi hanno sempre manifestato grande soddisfazione per aver coinvolto lo Sri Lanka nel proprio progetto infrastrutturale (comprendente anche l’ammodernamento del porto di Colombo), mentre gli USA hanno esercitato una crescente pressione, anche indiretta (agenzie di rating, FMI, etc), sullo Sri Lanka perché tornasse sui suoi passi. Il governo cingalese si è però soltanto limitato a negare qualsiasi ricaduta militare nelle operazioni cinesi a Hambantota ed a Colombo.

Come richiamare all’ordine, dunque, il Governo dello Sri Lanka?

Bé, magari destabilizzando lo stesso governo che sta sviluppando legami così stretti con Pechino: ritorniamo così all’inizio dell’articolo e agli attentati del 21 aprile. Sia chiaro, come abbiamo spesso evidenziato nei nostri articoli, il caso cingalese non è certo isolato: diversi Paesi del sud-est asiatico, colpevoli di intrattenere relazioni troppo strette con i cinesi, sono già stati “oggetto di attenzione” da parte di “soggetti altri” che alla fine finiscono sempre per “spalleggiare gli interessi” degli angloamericani. Qualche esempio:

  • la minoranza dei Rohingya in Myanmanr/Birmania è utilizzata per ostacolare le infrastrutture che raggiungono l’Oceano Indiano dalla Cina meridionale, girando attorno allo stretto di Singapore;
  • la campagna contro l’olio di palma mirava a destabilizzare i due massimi produttori, Indonesia e Malesia, che hanno strettissimi legami con Pechino;
  • i troppi incidenti aerei di cui è stata vittima la Malaysia Airlines sono da spiegare con l’apertura del governo malese alle infrastrutture che stanno consentendo a Pechino di avvicinarsi, anno dopo anno, allo stretto di Malacca.

Lo scontro tra il Behemot cinese ed il Leviatano angloamericano è solo agli inizi: la triste scorsa Pasqua dello Sri Lanka rischia di essere solo il primo di una lunga serie di nuovi misteriosi e drammatici eventi. La conduzione democratica e l’assetto costituzionale dei paesi occidentali è sempre più a rischio ?

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