SPIATI FOREVER. ADDIO PRIVACY IN STRADA: CON UNA SENTENZA, LA CASSAZIONE liberalizza l’uso DELLE TELECAMERE SULLE MURA PERIMETRALI ESTERNE DI PALAZZI E SINGOLE ABITAZIONI, PUNTATE SU CIO’ CHE ACCADE NELLA PUBBLICA VIA. I CITTADINI LE MONTANO “PER TUTELARE LA SICUREZZA DEI LORO BENI, PROPRIA E DEI FAMILIARI”, PERCIò NON COMMETTONO ALCUN REATO E…

Addio privacy in strada, saremo tutti personaggi del Grande Fratello. Con una sentenza la Cassazione ha dato luce verde all’ installazione di telecamere sulle mura perimetrali esterne di palazzi e singole abitazioni, puntate a riprendere quello che accade nella pubblica via.

I cittadini che le montano «per tutelare la sicurezza dei loro beni, propria e dei familiari» (o più semplicemente perché sono curiosi) non commettono alcun reato nei confronti delle altre persone che vivono o lavorano nella stessa strada, e vengono sistematicamente filmate. Per essere a posto con la legge, basta che appositi cartelli avvisino della presenza del sistema di videoripresa.

La sentenza I supremi giudici hanno assolto con la formula «perché il fatto non sussiste» due proprietari di diversi appartamenti di uno stabile a Chieti, condannati a sei mesi di reclusione per «violenza privata», che avevano installato telecamere «a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora orientate su zone e aree aperte al pubblico transito».

La Corte di Appello dell’ Aquila aveva dato ragione agli abitanti della strada, costituitisi parte civile, che in tutti i loro movimenti venivano costantemente controllati dai due padroni di casa «maniaci». Padroni di casa che per giunta avevano usato le riprese per denunciare a polizia o carabinieri quelli che per loro erano «illeciti»: chi raccoglieva male le deiezioni del cane, chi parcheggiava così così, «laboratori maleodoranti» o «schiamazzi».

Per la Cassazione, invece è tutto regolare: «L’ installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce un’ attività in sé illecita». E poco conta se gli inquilini tartassati dalle videocamere erano costretti a cambiare le loro abitudini, cercando percorsi alternativi per rientrare a casa e sottrarsi alle riprese: non è violenza privata, dice la Corte, «trattandosi di condizionamenti minimi», e tali «da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione».

E le segnalazioni che i due facevano alla polizia? È «un uso strumentale o molesto delle immagini catturate dalle telecamere, attuato successivamente a tale azione e, dunque, estraneo alla violenza privata». Insomma, secondo i supremi giudici, «il valore fondamentale della libertà individuale» va bilanciato con quello della «sicurezza, parimenti presidiato».

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