La Finanza liberista, fomentando l’ideologia del “sempre meglio che niente”, “prima i conti pubblici in pareggio ”, “non ci sono più i soldi”, riesce ad alimentare la percezione che siamo tutti “SOLI”. E ci sentiamo irreparabilmente “SOLI” ogni giorno di più . Così, il messaggio politico veicolato e diffuso dai media, ormai bancocentrici, è chiaro : lavoratori, sostenete e votate coloro che tutelano chi vi sfrutta. Ora c’è pure l’alleanza Sindacati-Confindustria.

A volte anche grandi illusioni che avevano alimentato grandi aspettative si fanno corrompere da presunti stati di necessità. Da emergenze nutrite  apposta per consentire soluzioni eccezionali, e per dare spazio a commissari, tecnici e plenipotenziari , agli affari sporchi addetti a farci digerire pozioni maligne.

Proprio mentre “l’Organizzazione Internazionale del Lavoro”  pubblicava il suo rapporto periodico, “Prospettive occupazionali e sociali nel mondo”, una campana a morto senza speranze a cominciare dalla denuncia esplicita che la maggior parte dei lavoratori nel mondo vive al di sotto delle soglie di sicurezza e benessere materiale, psicologico e morale. Senza alcuna possibilità di esprimere vocazioni e talenti, la Triplice dei sindacati italiani unitamente a Confindustria hanno scritto e lanciato “un Appello per l’Europa”.

A tal proposito, non mi è piaciuta la prima apparizione ufficiale di Landini nella sua veste di Segretario nazionale della CGIL in sede di Triplice sindacale, ricostituita in piazza insieme a un campionario confindustriale.

Quando l’ho detto e l’ho scritto sono stata accusata quasi di iconoclastia, per aver giudicato un sindacalista che vanta nel suo curriculum quello di essere stato, prima, un operaio, poi, addirittura promosso per anni alla guida della rappresentanza nazionale della Fiom. Una garanzia indubitabile della sua tenace appartenenza al ceto sfruttato, della sua autorevolezza e credibilità, che non sarebbe mai stata contagiata dal virus “del partito del Pil”. Corrente liberista che da oltre due decenni vuol persuaderci che siamo tutti sulla stessa barca. Potenzialmente beneficiati dalla manina della Provvidenza (“il mercato”) che è capace di spargere, come una polverina d’oro, anche sugli ultimi i frutti dei profitti dei primi, per spingere i lavoratori ed i giovani ad un fasullo, permanente, stato di necessità, che ci costringe tutti alla volontaria rinuncia ai diritti ed alle conquiste sociali ottenute in decenni di faticose conflittualità sindacale.

Anche i più restii, adesso, dovranno prenderne atto e capire che ci hanno fatto diventare  irreparabilmente soli.

Come lo sono stati e lo sono i cassintegrati. O quelli che una mattina si sono presentati in fabbrica e hanno trovato i capannoni vuoti, che baracca e burattini erano stati trasferiti in siti geografici oltreconfine, più favorevoli in materia di costo del lavoro. O gli operai della Fiat abbandonati quando affrontarono la più grave crisi della storia dell’industria nazionale, intimoriti e ricattati a Pomigliano e Mirafiori , colpevolizzati per la loro resistenza in modo da legittimare il trasferimento dell’azienda all’estero.

Soli, come lo sono i dipendenti di qualsiasi azienda e impresa e scuola e ospedale, che hanno perso anche l’autorizzazione al lamentarsi, perché c’è chi sta peggio. Convinti, perfino, dai loro rappresentanti sindacali e politici che le restrizioni e i rischi sono ineluttabili. Che l’austerità è un incidente, un evento naturale e imprevedibile che si è abbattuto su tutti e che tutti dobbiamo sopportare con uguale responsabilità. Chi , nonostante tutto, si oppone a questa deriva alienante rischia di mettersi fuori dal consorzio civile e dal progresso per tutti.

Soli, come lo sono i lavoratori precari, per loro stessa natura condannati alla competizione e alla concorrenza più feroci per mantenersi il contratto strappato al pensionato intimidito dallo stalking telefonico, esautorati della possibilità di unirsi per la difesa delle proprie prerogative, costretti a un isolamento coatto e agonistico che mina qualsiasi forma di coesione e solidarietà.

Soli come sono ormai anche quelli che si sono rifugiati in quegli impieghi che offrono la chimera di una autonomia che permetterebbe loro di essere imprenditori di se stessi, perché si auto organizzano le consegne dei pasti a domicilio, che ormai anche secondo i tribunali i pony express e quelli di Foodora sono “lavoratori autonomi”. O perché   esercitano l’accoglienza correndo da un B&B all’altro, o perché appartengono al ceto dei vaucher che si adatta a tutti i lavoretti flessibili compresi quelli del taylorismo digitale, o perché  circolano negli spazi spuri del coworking dove la socialità e la solidarietà si esprime attraverso la connessione e alla fidelizzazione a una aspettativa di guadagno.

Soli anche quando si muore sul posto di lavoro, disapprovati in qualità di fattore umano irrazionale e incompetente, che crea danno all’impresa e ostacola la modernità.

Soli come lo è la classe disagiata, sempre più estesa della quale fanno parte quelli che soffrono la perdita di beni, sicurezze e garanzie, quelli che giurano ogni giorno, di mese in mese e di anno in anno, che il loro sotto-impiego è soltanto «temporaneo» e  serve alla sopravvivenza, ma poi.., quel 90% di ricercatori che secondo una statistica proprio della Cgil ha abbandonato l’università italiana,

Soli, in quella zona grigia che  tira avanti finché durano i risparmi di famiglia, i contratti precari e gli assegni di disoccupazione, che si vergogna di chiedere il reddito di cittadinanza e che aspetta che si liberi il posto che credono di meritare perché hanno studiato e preso una laurea, in aperto conflitto con le migliaia  che si sono adattati a stare in un call center, a fare i manovali o i pizzaioli perché non hanno nessuno alle spalle e che hanno perso con la speranza anche la loro identità.

Soli come quelli che non hanno goduto delle mancette e degli 80 euro e che si sentono dire che il reddito di cittadinanza è “illegittimo” perché è troppo generoso rispetto ai salari italiani. Condannandolo invece di condannare trattamenti iniqui, disuguali e umilianti.

Soli, come quelli che ricorrentemente si sentono dire da chi ha il culo al caldo che sono indolenti, mammoni, viziati, inadeguati e impreparati dopo che è stato smantellato l’edificio dell’istruzione pubblica, dopo che le riforme che si  sono susseguite hanno realizzato la distopia dei diplomifici privati, hanno creato una falsa concorrenza tra Università statali e private. Le ultime adatte a selezionare per censo, fidelizzazione al mercato, rendita il personale da immettere nell’apparato “oligarchico”, comprese quelle tipologie di occupazioni inutili, quell’ammuina di occupazioni svalutate se le svolgiamo noi, valorizzate se a coprire quei ruoli fasulli è qualche delfino, uniti comunque dallo status di sudditi.

Soli se chi doveva rappresentarci e testimoniare di noi si appaga di una costruzione elitaria e feroce definendola come un progetto demiurgico “cruciale per affrontare le sfide e progettare un futuro di benessere per l’Europa che è ancora uno dei posti migliori al mondo per vivere, lavorare e fare impresa”.

Come se la lotta condotta contro le democrazie nazionali costituzionali da una Unione Europea che ogni giorno con le sue arbitrarie decisioni politiche ed economiche le sobilla. Giudicandole male perché sono nate dalle lotte antifasciste e di resistenza di tutti i paesi europei dopo la seconda guerra mondiale. Costituzioni nazionali, quasi tutte “tarate” e macchiate – agli occhi dei liberisti egemoni a Bruxelles – dalla colpa di essere economicamente keynesiane ed “un po’ socialiste”.

Come se i vincoli, i diktat, le estorsioni, le minacce e le cravatte del rigore non siano stati pensati e attuati per portare divisioni tra i paesi europei ed all’interno degli stessi singoli paesi, per limitare diritti sociali, autonomie e libertà personali, per condannare sempre più cittadini al malessere e all’ubbidienza.

Come se una qualsiasi rivendicazione di giustizia sociale si trasformasse in una manifestazione di populismo ignorante e primitivo, ed una qualunque pretesa di indipendenza e autodeterminazione di un popolo assumesse una espressione di arcaico e irragionevole sovranismo.

Come se chi denuncia la globalizzazione e i suoi guasti contribuisse alla decrescita della propria nazione e dell’intera Europa.

Come se fosse vero che “dove passano le merci non passano i cannoni”, come invece, al contrario, dimostrano i fatti dell’ex Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, l’Ucraina, il Venezuela.

L’appello concorde e condiviso di sindacati ha la natura di una irreale letterina a Babbo Capitale in tre paragrafi: “Unire persone e luoghi”, forse grazie all’Alta Velocità, e all’Apprendistato europeo, una festosa rivisitazione dei progetti di legge dell’ex ministro Poletti :Dotarsi degli strumenti per competere nel nuovo contesto globale”. Coerentemente sulla linea direttrice storicamente tracciata dal duo Reagan-Thatcher con la libera circolazione dei capitali e la conseguente creazione di nuovi eserciti di schiavi? E infine la parte del documento su “Potenziare la rete di solidarietà sociale europea”, nel quale ci si piega alla opportunità di offrire un sostegno europeo al reddito purché non pesi sulle imprese.

Vista questi fulgidi esempi di unità sindacale e di unione europea, verrebbe da dire che è meglio stare da soli che sopravvivere così male accompagnati.

 

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