MEMORIA della STORIA. Ripubblichiamo due articoli da LA REPUBBLICA dell’Ottobre 1999. Oggetto di entrambi è il ruolo geopolitico-militare che l’Italia ha esercitato in Nord-Africa e Medio Oriente sino alle soglie degli anni 2000. Quando la politica estera italiana era ancora contraddistinta dall’eredità di Aldo Moro ed Enrico Mattei, nonché dalle opere di “statisti” come Bettino Craxi e Giulio Andreotti, mentre i servizi militari per l’estero (il SISMI) avevano conosciuto la guida dell’Ammiraglio Fulvio Martini il più capace esperto di intelligence del mondo. Il pretesto dei due articoli è il “caso della Tunisia” e della sua interconnessione geopolitica con Libia ed Algeria. L’italia era il centro di quello scenario, americani, russi e francesi, allora misuravano gesti e parole perché conoscevano la nostra autorevolezza e lungimiranza. Ed anche più di un poco ci “temevano”. Dal 2001 in poi l’unica minaccia che possiamo fare a quegli “imperi” è quella di farli morire dal ridere. Confrontate voi storie e personaggi di quell’epoca politica con ciò che poi è successo in politica estera dal 2011 in poi. Buona lettura.

Tunisia l’ascesa al potere di Ben Alì. L’ex capo del Sismi: “L’Algeria stava per invadere  il paese vicino per difendere il gasdotto con l’Italia”, ecco perché il golpe costituzionale italiano, parla l’Ammiraglio Fulvio Martini : “Sì, scegliemmo noi il Presidente Ben Alì”

                                     di VINCENZO NIGRO ((11 ottobre 1999) la Repubblica

  “Non fu un brutale colpo di stato: fu un’operazione di politica estera, messa in piedi con intelligenza, prudenza ma anche decisione dagli uomini che guidavano l’Italia in quegli anni. Sì, è vero, l’Italia sostituì Bourghiba con Ben Ali”. Sono le dieci del mattino: per riscaldarsi ai tavolini del bar di viale Parioli l’uomo del ministero degli Esteri cerca uno spazio al sole fra l’ombra dei platani. “Fu l’Italia a costruire nel giro di un paio di anni la successione indolore fra Bourghiba e Ben Ali. Furono Craxi, Andreotti, il capo del Sismi Martini, il capo dell’Eni Reviglio a garantire una rete di sicurezza al “golpe costituzionale” che Ben Alì mise a segno la notte fra il 6 e il 7 novembre dell’87. La storia è lunga, molto più complicata e molto meno sordida di quanto sembri. Craxi fece una visita in Algeria in cui quelli si dissero pronti a invadere la Tunisia se Bourghiba non avesse garantito la stabilità del suo stesso paese. Gli algerini volevano fare qualcosa per tutelare il gasdotto Algeria-Italia, che nel tratto finale attraversa la Tunisia. L’Italia non poteva tollerare una guerra fra Algeria e Tunisia, ma non poteva neppure permettere che Bourghiba degradasse al punto da rendere insicura la Tunisia. Ma chi sa davvero tutto è l’ammiraglio Martini…”.

Le undici di ieri mattina. Nel salotto del suo piccolo appartamento alla Balduina, l’ammiraglio Martini si accomoda in poltrona con agilità insospettabile per i suoi 75 anni. Tutt’intorno i cimeli, i ricordi delle due vite trascorse al servizio della Repubblica, quella da ufficiale di Marina e quella da uomo dei servizi segreti. “La storia è vecchia, ma non capisco proprio perché ci siate saltati su solo adesso: l’ avevo fatto capire chiaramente nel mio libro “Ulisse”…”.

Ammiraglio, semplicemente perché l’altra sera in Commissione Stragi lei ha pronunciato la parolina magica “golpe”, anche se l’ha declinata all’italiana: “Organizzammo una specie di colpo di stato in Tunisia”. Cos’è una specie di colpo di stato?

“Allora: all’inizio del 1985 mi chiama Bettino Craxi, presidente del Consiglio. Poco prima era stato in Algeria, dove aveva incontrato il presidente Chadli Benjedid e il primo ministro pro tempore, non ricordo chi fosse…” (il primo ministro pro tempore di Chadli era Abdel Hamid Brahimi, ndr).

“Craxi mi dice: ammiraglio, lei deve andare in Algeria, deve incontrare il capo dei loro servizi. Io gli rispondo: presidente, io in Algeria non ci vado. I servizi segreti algerini sono tra i più attivi nell’organizzare e armare i terroristi palestinesi. Il Sismi in quegli anni non aveva contatti con l’Algeria, con i libici, con la Siria. Non avevamo contatti con i servizi che appoggiavano la galassia delle organizzazioni terroristiche palestinesi. Craxi mi ordinò: lei deve andare in Algeria, si cauteli ma vada lì”.

La visita di Craxi era stata la prima di un premier italiano nell’Algeria che dal 1962 aveva conquistato l’indipendenza dalla Francia. Presentando il viaggio, il 26 novembre del 1984 il corrispondente dell’Ansa da Algeri scrive: “La visita di Craxi cade in un momento particolare per l’Algeria, che è impegnata a diversificare le sue preferenze verso altri paesi dell’Europa occidentale dopo i problemi con Francia e Spagna. La diffidenza di Algeri verso Parigi è scaturita anche dalle intese raggiunte recentemente fra Mitterrand, il re del Marocco Hassan II e il leader libico Gheddafi per il Ciad. Inoltre l’Algeria si è trovata circondata da un blocco militare ostile a seguito dell’Unione fra Libia e Marocco senza un’aperta opposizione della Francia”.

Craxi giunge ad Algeri il 28 novembre 1984.

L’ammiraglio Martini ricorda: “Il Presidente algerino prospettò al Presidente Craxi un’eventualità che per noi sarebbe stata assai pericolosa. Gli algerini – disse – erano pronti a invadere quella parte del territorio tunisino che è attraversata dal gasdotto. Craxi disse a Chadli: “Aspettate, non vi muovete”, e iniziò a muoversi lui con Giulio Andreotti”.

Alla fine lei decide il viaggio ad Algeri.

“Naturalmente io eseguo le direttive del governo: non avevamo rapporti diretti col servizio algerino, un servizio unico controllato dai militari. Perciò chiamai l’ambasciata a Roma e dopo pochi giorni col mio aereo atterrai ad Algeri. Mi fecero parcheggiare a fondo pista, lontano da tutti e da tutto. Rimasi a parlare fino a notte fonda con il capo dei loro servizi, e da allora avviammo un dialogo che aveva un grande obiettivo: evitare che la destabilizzazione crescente della Tunisia portasse gli algerini a un colpo di testa. L’Italia offriva aiuto all’Algeria, e in cambio chiedeva aiuto all’Algeria nel controllo del terrorismo in Italia”.

Aiuto italiano nella “stabilizzazione” della Tunisia?

“Sì. Da quel momento iniziò una lunga operazione di politica estera in cui i servizi ebbero un ruolo importantissimo. Alla fine individuammo il generale Ben Ali come l’uomo capace di garantire meglio di Bourghiba la stabilità in Tunisia. Da capo dei servizi segreti, poi da ministro dell’Interno Ben Alì si era opposto alla giustizia sommaria che Bourghiba aveva intenzione di fare dei primi fondamentalisti che si infiltravano nei paesi islamici. Dopo la condanna a morte di 7 fondamentalisti, Bourghiba voleva altre teste. Noi proponemmo la soluzione ai servizi algerini, che passarono la cosa anche ai libici. Io personalmente andai a parlare con i francesi…”.

Ebbe qualche problema col suo collega francese, il capo della Dgse?

“Era il generale René Imbot, ex capo di stato maggiore dell’ Armée. Andai da lui, gli spiegai la situazione, gli dissi che l’Italia voleva risolvere le cose nella maniera più cauta possibile, ma che comunque non voleva aspettare che la Tunisia saltasse per aria. Lui fece un errore imperdonabile: mi trattò con arroganza, mi disse che noi italiani non dovevamo neppure avvicinarci alla Tunisia, che quello era impero francese. Io ancora oggi penso che per difendere un impero bisognava avere i mezzi, la capacità ma anche la solidarietà di chi non è proprio l’ultimo carrettiere del Mediterraneo… Imbot era stato nella Legione straniera per vent’anni, aveva guidato i paracadutisti che parteciparono alla repressione nella casbah durante la battaglia di Algeri. Era un soldato, non capiva la politica, ebbe qualche problema con il suo primo ministro Jacques Chirac”.

Voi andaste avanti col vostro piano: sempre con il consenso di Craxi e Andreotti? E gli americani, li avvertiste?

“Gli americani non furono coinvolti. Naturalmente io mi muovevo seguendo le direttive del governo, tenendolo informato passo dopo passo. Noi del Sismi non facemmo nulla di operativo in Tunisia, ma collaborammo a un’azione politica italiana che, appena Ben Ali arrivò al potere, riuscì a sostenere il suo governo politicamente ed economicamente ed aiutò la Tunisia ad evitare l’incubo islamico che ha tormentato paesi come l’Algeria”.

La notte del 6 novembre 1987 in Italia il presidente del Consiglio era Giovanni Goria, il ministro degli Esteri Giulio Andreotti, il leader del Psi Bettino Craxi. Sette medici firmarono un referto che certificò l’incapacità di Habib Bourghiba, il primo ministro-generale Zin el Abidin Ben Ali divenne presidente della Tunisia.

Martini ieri sera non ha voluto commentare le dichiarazioni di Pellegrino, Craxi e Andreotti su questo che ha definito “una specie di golpe”. I giornalisti che da Tunisi il 7 novembre 1987 trasmisero i loro articoli lo chiamarono “golpe costituzionale”. Chiamatelo come volete, la storia è questa.

L’Italia dietro  il golpe “costituzionale” in Tunisia”. L’ammiraglio Martini: Craxi e Andreotti ordinarono al Sismi di agire.

                                        di CARLO CHIANURA ((10 ottobre 1999) la Repubblica

ROMA – Sette novembre 1987, Tunisi. Nel Palazzo di Cartagine il nuovo leader Ben Alì si insedia alla presidenza della repubblica nordafricana. Durante la notte è succeduto in maniera incruenta al vecchio Habib Bourghiba, destituito con un certificato medico di “incapacità psicofisica”. Sei ottobre 1999, ore 20.38, commissione Stragi del Parlamento italiano. Depone Fulvio Martini, per sette anni a capo del Sismi sotto i governi Craxi, Fanfani, Goria, Andreotti. Si discute del caso Moro piuttosto che delle carte del Kgb, quando Martini si rivolge al presidente Pellegrino: “Se noi passassimo in seduta segreta potrei raccontare una cosa…”. Pellegrino dispone ventidue minuti prima delle nove la “segreta”. E l’ex capo del servizio militare racconta a sorpresa: “Negli anni 1985-1987 noi organizzammo una specie di colpo di Stato in Tunisia, mettendo il presidente Ben Alì a capo dello Stato, sostituendo Burghiba che voleva fuggire”.

Dodici anni dopo quegli avvenimenti di Tunisi che ebbero una grande eco in tutta Europa, “Repubblica” è venuta a conoscere la clamorosa verità su un cambio della guardia che già all’epoca dell’insediamento di Ben Alì aveva destato più d’un sospetto. Dunque in Tunisia l’Italia non si limitò solo a orientare politicamente le scelte del paese africano, puntando sui buoni rapporti storici tra i due paesi o sulle leve finanziarie ed economiche. Secondo le dichiarazioni di Martini, il nostro paese mise in atto un golpe per estromettere dal potere un leader malato e pericoloso per la stabilità dell’intera area maghrebina e porre al comando un presidente gradito all’Italia.

Un vero colpo da maestri, nel suo genere, quello di Martini e dei suoi. “Io evidentemente non posso scendere nei particolari”, dice ai membri della Commissione l’ammiraglio, “essendo ancora Ben Alì presidente della repubblica tunisina”. Lo scenario del golpe Martini lo ha descritto nel suo recente libro “Nome in codice: Ulisse”. Senza naturalmente fare riferimenti a ciò che effettivamente avvenne, l’ex capo del Sismi descrive con un ampio giro di parole quello che oggi sappiamo essere stato un golpe organizzato dall’Italia in un paese straniero. Ci fu, dice Martini, “un trasferimento di poteri tranquillo e pacifico”. Il cui merito, egli afferma, va soprattutto a due persone: Bettino Craxi e Giulio Andreotti. A partire dal 1985 si era creata nella regione “una situazione politico-diplomatica abbastanza complessa”. Si era aperta “una questione di successione al vertice della repubblica tunisina” non facilmente risolvibile. “Si trattava di procedere alla sostituzione di Bourghiba. Racconta l’ex ammiraglio, ” Bourghiba era stato il simbolo della resistenza contro i francesi, ma era un uomo di età molto avanzata e non era più nelle condizioni fisiche e mentali di guidare il suo paese”. Il vento dell’integralismo islamico che comincia a scuotere il Nord Africa arriva a farsi sentire anche in Tunisia. Bourghiba, ricorda Martini, reagisce ma in maniera “un po’ troppo energica”. “Minacciò di fucilare un certo numero di persone e fu subito chiaro che una reazione del genere avrebbe portato a sovvertimenti suscettibili di pesanti riflessi negativi anche nei paesi vicini”.

Ed è a questo punto che entra in gioco il governo italiano. Bettino Craxi è dal 4 agosto 1983 il presidente del Consiglio. Giulio Andreotti è il ministro degli Esteri. “Su loro direttive”, cioè per ordine di Craxi e Andreotti, Martini dice ai suoi uomini di agire in Tunisia “paese con cui avevamo eccellenti rapporti”. “Riuscimmo a concludere una prima transazione sui principali punti di contrasto, poi proponemmo una soluzione soddisfacente per tutti che fu accettata e la successione di Bourghiba avvenne con un trasferimento di poteri tranquillo e pacifico”.

Insomma, una specie di congiura di palazzo che si conclude in poche ore nella notte tra il sei e il sette novembre 1987. Presidente del Consiglio nel frattempo è diventato Giovanni Goria, sottosegretario alla presidenza Emilio Rubbi, ministro della Difesa Valerio Zanone. Ministro degli Esteri, inutile dirlo: Giulio Andreotti. “Non ci fu una goccia di sangue”, nota con soddisfazione l’ex capo del servizio militare. E non rinuncia a una stilettata verso il pari grado di uno Stato estero, forse la Francia. “L’unica vittima fu un capo servizio europeo che ci rimise la poltrona perché al suo governo non piacque la nostra soluzione”. Un mese dopo il golpe l’allora presidente dell’Eni, il socialista Franco Reviglio, corre a Tunisi per concludere un accordo. Lo accompagna Bettino Craxi, ridiventato leader del Psi. Sono ancora lontani i tempi in cui Craxi, caduto in disgrazia e pluricondannato per Tangentopoli, otterrà dal riconoscente Ben Alì un sicuro riparo ad Hammamet. Ma questa è un’altra storia.

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