A fine di Marzo 2019 , a che punto è la crisi Venezuelana ?
A che punto è la crisi venezuelana e la pretesa di Trump di mettere ordine a suo piacimento – come meglio crede e come meglio gli conviene – al di là di ogni regola di diritto internazionale nel suo “cortile di casa” dell’America Latina ?
A un punto tragico, se parliamo dal punto di vista dei venezuelani strangolati da tre anni di bloqueo (embargo) illegale (cioè non legittimato dall’ONU) ancora più duro di quello che Cuba ha subito per 50 anni , con particolare attenzione a tre filiere : derrate alimentari, medicinali e dispositivi medici, pezzi di ricambio di auto e macchine da produzione industriale.
A un punto poco serio, se parliamo dal punto di vista di Trump. Se il 25 marzo ha dovuto prendere atto che il risultato di tutto il suo agitarsi è stato lo sbarco a Caracas di due aerei cargo (un Ilyushin Il-26 e un Antonov An-124) delle Forze Armate Russe , che hanno sbarcato : 35 tonnellate di materiale militare, un gruppo di tecnici per aprire una fabbrica(su licenza) di AK-47 (ma il modello più moderno) in Venezuela, 100 ufficiali russi in veste di consiglieri militari per l’esercito venezuelano, una unità di forze speciali di un centinaio di uomini da adibire a difesa del Governo a Caracas, nonché lo stesso Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Russo. Che, in una sua dichiarazione scritta, ha ricordato come tra la Russia ed il Venezuela, sia ancora in vigore un trattato internazionale di cooperazione e solidarietà militare. L’apparato russo sbarcato a Caracas, integra, così, i circa 300 contractors (ex militari, russi, cubani e libanesi) di una nota agenzia privata russa, esperti nel contrasto antiterrorismo,che si aggiungono agli altri 50 ufficiali russi che già da mesi svolgono il loro compito di “consiglieri militari” presso l’esercito venezuelano.
Le violente proteste e minacce di «immediate e pesanti ritorsioni » espresse dall’Amministrazione Trump hanno, quindi, provocato, sin’ora, un’escalation nell’internazionalizzazione della crisi. Anzi, l’hanno ancora più ingarbugliato agli occhi degli stessi falchi dell’apparato industriale americano che spingono con vigore in direzione di un intervento militare contro Maduro. Se è vero – come è vero- che sempre lunedì 25 marzo è stata montata a protezione di Caracas una batteria del sistema missili- antimissili russi S-300.
E il fatto che – scimmiottando la tempistica operativa dei giles gialli francesi – anche la scorsa domenica 24 marzo sia stato condotto dai soliti ignoti hackers un nuovo e criminale attacco informatico alla Rete elettrica venezuelana, che ha provocato un nuovo black-out assoluto in quindici regioni (su 20) ed a un pezzo di Caracas (oltre a bloccare le linee della metropolitana e di nuovo gli ospedali), non ha contribuito ad aumentare l’odierna popolarità degli yankee in questa crisi. Che aggravandosi ed internazionalizzandosi, “alza la posta”, pure per l’Amministrazione Trump. Esattamente come era già successo in Siria. Al romboante rilancio da poker del Presidente USA, Putin ha risposto con un sommesso ma perentorio “vedo”.
Sono passati due mesi da quando Juan Guaidó si è autoproclamato presidente del Venezuela e, con la benedizione di Trump, ha promesso di cacciare Maduro dal palazzo di Miraflores. Dalla minaccia di una rapida guerra civile il paese è passato alla dura realtà di una guerra di trincea, che potrà anche tornare utile alla prossima campagna presidenziale di Trump. Ma la crisi venezuelana si sta incartando in modo imbarazzante per gli USA.
Due Venezuela si scontrano: uno guidato da Maduro (erede di Chavez), Presidente magari non proprio all’altezza di tale compito, ma costituzionale; l’altro che si affida ad un personaggio estratto direttamente dal cappello dei prestigiatori di Usaid (circolano molti rumors sui suoi antichi rapporti con la Cia !?). Una situazione di stallo armato da cui è difficile capire se uno dei due – e chi – avrà la meglio. O se finirà in una catastrofe che avrà ripercussioni in tutto il subcontinente latinoamericano, come è già successo in Libia ed in Siria a scapito dell’intero Medio oriente e mondo arabo.
Intanto, isono due le notizie del giorno : 1) la Corte dei Conti Venezuelana ha imputato e condannato Guaidò per aver speso soldi pubblici x i suoi viaggi privati all’estero, oltreché per non avere dichiarato una serie di somme in dollari che ha pur incassato negli ultimi due mesi; la condanna comminatagli consiste nella rimozione dalla sua carica di Presidente dell’Assemblea legislativa venezuelana e l’interdizione dai pubblici uffici per i prossimi quindici anni. 2) è stato arrestato l’avvocato Roberto Marrero, «capo di gabinetto» di Guaidó, accusato di far parte di «un gruppo terrorista» – guidato da un agente colombiano – che avrebbe organizzato un piano ed un commando di killers per portare a termine un attentato a Maduro. Indagini ed accuse avvalorate anche dai screen-shot dei suoi wats-up con i quali stava pianificando l’allestimento dell’attentato.
Insomma, gli Usa stanno prendendo atto che il Venezuela non è esattamente una ”repubblica delle banane” dove poter organizzare un golpe vincente in men che non si dica. Due mesi fa il fuoco golpista acceso da Guaidó minacciava di diventare un incendio in tempi brevi, sia per la drammatica crisi economica (inflazione biblica, carenza di cibo e medicinali) e sociale (milioni di cittadini in fuga e/o emigrati) sia per la minaccia di un massiccio intervento degli Usa e dei loro vassalli latinoamericani. Ma il governo Maduro è sopravvissuto ai tre tentativi di golpe – l’auto proclamazione di Guaidó; la crisi e minaccia di intervento montati attorno agli «aiuti umanitari» bloccati e incendiati al confine con la Colombia; il devastante black-out che ha lasciato a buio il Venezuela per quasi una settimana, e di nuovo nelle ultime 36 ore. In questo periodo Trump e la sua amministrazione di falchi hanno messo in campo tutta l’artiglieria pesante delle sanzioni senza però riuscire ad abbattere Maduro. Il governo bolivariano , infatti, sta dimostrando concretamente di godere dell’appoggio di più della metà della popolazione (quella delle province e delle grandi masse di diseredati che prima di Chavez puzzavano di fame, non avevano alcun diritto sociale, e gli era vietato pensare al futuro) che teme di tornare allo status quo prima della rivoluzione bolivariana, quando erano costrettii a vivevere senza diritti, senza assistenza sanitaria, in uno stato di perenne bisogno e precarità . Ma ai fini pratici Maduro registra ancora il sostegno delle Forze Armate, che del cd “governo bolivariano” fanno parte integrante, esattamente sul «modello» cubano. E’ fallita, pertanto, la campagna acquisti USA lanciata già da mesi tra gli ufficiali venezuelani.
«Maduro si è reso conto che gli Stati uniti hanno già messo in campo le loro carte migliori e ha cominciato a ideare una strategia di tempi medi» ha affermato la settimana scorsa Christopher Sabatini, professore della Columbia University esperto che monitora quotidianamente la situazione in Venezuela. Una strategia che si propone di fare emergere un sentimento di esasperazione nei confronti delle promesse non mantenute di Guaidó e, sopratutto, del danno concreto che la sua azione politica sta apportando alla vita giornaliera dei venezuelani.
Di certo c’è che le sanzioni continuano a strangolare la già collassata economia del Venezuela. In particolare le vendite del petrolio, colpite dalle sanzioni USA ed europee, si sono ridotto praticamente a zero. Ma il crescente appoggio di Russia, Cina, Iran, Turchia, e dell’amica Cuba, sta aiutando Maduro a trovare sbocchi economici e mercati alternativi, anche se rimane il grande problema – in questa situazione – di dover continuare a vendere il greggio ad un prezzo sempre più basso, e con costi di trasporto maggiori.
L’importante per Maduro è, allora, guadagnare tempo. Più passano i giorni, meno venezuelani pensano che sia possibile, o conveniente per tutti, che il governo venga abbattuto con la forza. Così, aumentano i consensi per trovare una soluzione, una via di uscita, non violenta. Cresce l’ auspicio dell’apertura di una trattativa politica tra Governo ed opposizione. Pure i sondaggi Datincorp evidenziano che il 60% della popolazione ormai è orientata schierata per il raggiungimento di una soluzione frutto di una mediazione politica.
Perciò, anche all’interno del fronte dell’opposizione cresce il dissenso nei confronti della linea di Guaidó. Che Enrique Ochoa Antich, dirigente della coalizione Concertación para el Cambio (ndr. che raggruppa sette organizzazioni di tendenza socialdemocratica presenti in parlamento), definisce «estremista» e senza sbocco. Tanto che in un’intervista alla tv russa Rt, Ochoa ha affermato che «nell’opposizione esiste una corrente estremista (ndr. Guaidò)che vuole dare l’assalto al potere e una opposizione democratica che crede nelle trattative e nella via elettorale». Negli ultimi giorni il presidente Maduro ha favorito una mossa politica in questa direzione: l’intervento dell’ex premier spagnolo Zapatero (in passato figura di punta di una mediazione internazionale per un dialogo tra governo e opposizione, poi fallita per intervento degli Usa che hanno imposto la linea dello scontro). La settimana scorsa Zapatero è volato a Caracas per sondare quanto sia congrua la possibilità che nel fronte delle opposizioni si possa coagulare una linea trattativista, alternativa a quella di Guaidó e dei suoi amigos yankee.