Conte, il PD ed i M5S, per evitare il prossimo naufragio dell’Italia , debbono porsi l’obiettivo di azzerare ildivario nella spesa pubblica tra Nord e Sud Italia, a cui ogni anno vengono sottratti (fraudolentemente)71 miliardi negli ultimi 18 anni. Oppure prenderà corpo necessariamente la fisiologica frantumazione dell’Unità d’Italia in tre pezzi diversi e contrapposti, come nelle aspettative dei finanzieri anglo-americani e sauditi, tedeschi e francesi. Con dinamiche e conseguenze sociali e geopolitiche , oggi, non prevedibili. Questi numeri economici e finanziari vengono nascosti dalle testate giornalistiche italiane che da 5 anni tirano la volata alla affermazione politica della Lega. Perché Lega e finanza internazionale, in realtà, sono due finti nemici. Un “falso” pubblicizzato, come l’incombente “bufala” dell’Autonomia differenziata delle regioni (Lombardia,Veneto,Emilia-Romagna).

Il Presidente del Consiglio Conte tutelerà i diritti di cittadinanza dei meridionali messi in pericolo dall’autonomia differenziata? Oppure, come nel 2001, il PD (allora Ulivo) allargherà il divario Nord-Sud per rincorrere la Lega con la riforma del Titolo Quinto della Costituzione? Conte, nel discorso al Quirinale come Presidente del Consiglio incaricato, ha promesso un Governo contro le disuguaglianze territoriali, un Governo che ridia centralità al Mezzogiorno. Ecco la prima disuguaglianza che Conte dovrebbe colmare: ogni anno lo Stato, nelle sue varie articolazioni, spende per un cittadino del Centro-Nord 17.065 Euro; nel contempo per un cittadino meridionale spende 13.394 Euro: 3671 Euro di differenza. Come vedremo avanti, se la spesa pubblica per un meridionale fosse pari alla spesa pubblica per un settentrionale, lo Stato ogni anno dovrebbe spendere in più nel Mezzogiorno 76 miliardi di Euro. Per essere coerente, Conte, per rimuovere le disuguaglianze territoriali, dovrebbe rovesciare la ripartizione del bilancio dello Stato e spendere in più al Sud i suddetti 76 miliardi ogni anno. Al contrario, poiché PD e Lega, sull’autonomia differenziata, hanno un’idea simile, vogliono trattenere le tasse e i contributi del Nord nelle regioni del Nord. E così si allargherà la suddetta differenza di 3671 Euro di spesa pubblica pro-abitante e si aggraverà il divario Nord-Sud. Vediamo concretamente con uno sguardo agli ultimi trenta anni.

76 MLD DI SPESA PUBBLICA IN PIU’ AL SUD SE I DIRITTI DEI MERIDIONALI FOSSERO PARI A QUELLI DEI SETTENTRIONALI

La riforma del Titolo Quinto della Costituzione dette copertura costituzionale al ‘Federalismo a Costituzione invariata’ della legge Bassanini (l. 59/1997). Negli anni novanta, finito l’intervento straordinario nel Sud, chiusa la Cassa per il Mezzogiorno, finita la prima repubblica, il Nord (e la sua Confindustria) non voleva più crescere assieme al Sud e scelse definitivamente di diventare sub-committente del capitalismo tedesco. La Lega chiedeva la secessione, l’Ulivo inseguì la Lega per non perdere voti. Oggi, se nessuno si oppone al regionalismo differenziato, quel processo iniziato negli anni novanta avrà il suo epilogo: il PD del Nord, guidato dal Presidente emiliano Bonaccini, implementerà i tre accordi sull’autonomia firmati tra il Governo Gentiloni il 28 febbraio 2018 e la “leghista” Lombardia, il “leghista” Veneto e la “democratica” Emilia Romagna. L’esito della riforma del Titolo Quinto è nei numeri in tabella 1 elaborata dalla Svimez sui dati dei Conti Pubblici Territoriali nella Nota dal Titolo “Regionalismo differenziato e diritti di cittadinanza in un Paese diviso” del 9 aprile 2019. Al netto degli interessi, in termini di spesa pubblica annua pro-capite del Settore Pubblico Allargato, oggi un cittadino del Centro-Nord riceve 17.065 Euro (dall’alto la prima linea verde) mentre il cittadino meridionale riceve 13.394 Euro (dall’alto la seconda linea verde). La differenza è 3671 Euro. Che significa? Che se i diritti di cittadinanza dei meridionali valessero quanto i diritti di cittadinanza dei settentrionali, lo Stato, nelle sue varie articolazioni, spenderebbe nel Mezzogiorno quasi 76 miliardi in più ogni anno per i suoi 20,697 milioni di abitanti. Si arriva a 76 miliardi moltiplicando il numero degli abitanti meridionali per la suddetta differenza tra la spesa pubblica pro abitante nel Sud e quella nel Centronord (20.697.000 * 3671 Euro= 75.978.687.000 Euro). Magari, con una spesa pubblica pro-capite annua per il Sud pari a quella per il Nord, forse gli ospedali meridionali sarebbero efficienti come quelli lombardi, veneti o emiliani. E i meridionali non sarebbero costretti a fare i turisti della sanità.

VINCOLO ESTERNO UE PRODUCE VINCOLO INTERNO: DECRETO 56/2000 E RIFORMA DEL TITOLO QUINTO.

 La fine della sovranità monetaria e la contrazione della spesa pubblica già dagli anni novanta anticipano “la secessione dei ricchi” per citare Gianfranco Viesti. Poiché si contraggono il potere di intervento dello Stato e la spesa pubblica, il ricco Nord vuole trattenere le tasse e i suoi tributi nel Nord tradendo lo spirito della Costituzione. Lo ha spiegato bene il Professor Sergio Marotta nel saggio dal titolo “Regionalismo differenziato: cos’è e quali rischi comporta”. Franco Bassanini, Ministro della Funzione Pubblica nei Governi Prodi-D’Alema-Amato (1996-2001), iniziò il processo con la legge 59 del 1997 che avrebbe dovuto realizzare il federalismo a Costituzione invariata. La narrazione dominante ubriacava l’opinione pubblica con la parola magica della sussidiarietà: essa avrebbe realizzato un’azione amministrativa più efficiente. Nella sostanza, il Governo allargava il divario Nord-Sud nella ripartizione della spesa pubblica; i Governi dell’Ulivo elaborarono i nuovi criteri di riparto dei fondi per la sanità, criteri riassunti nel decreto legislativo 56 del 2000: formalmente resisteva il servizio sanitario nazionale, sostanzialmente i fondi per la sanità (mediamente il 70% dei bilanci regionali) venivano ripartiti con una distribuzione differenziata, favorendo le già ricche Regioni settentrionali e danneggiando le già povere regioni meridionali. Lo ammette anche il Professor Piero Giarda nel volume “L’esperienza italiana di federalismo fiscale. Una rivisitazione del decreto legislativo 56/2000”. Lì Piero Giarda si chiede perché un governo e una maggioranza di centrosinistra sarebbero stati «così malvagiamente antipoveri». Attenzione! Piero Giarda non è un bolscevico ma il Sottosegretario al Tesoro nei suddetti Governi Prodi-D’Alema-Amato. Ultimo strumento di allargamento del divario Nord-Sud fu la legge costituzionale n. 3 del 2001. Per inseguire l’elettorato leghista e per soddisfare le richieste della Confindustria del Nord il nuovo articolo 119 cancellava ogni riferimento al Mezzogiorno e introduceva il pericoloso principio secondo cui gli enti locali compartecipano al gettito dei tributi erariali «riferibile al loro territorio». La suddetta compartecipazione al gettito dei tributi erariali da parte degli enti locali è il germe della “secessione dei ricchi” voluta oggi Luigi Zaia (Lega), da Attilio Fontana (Lega) e da Stefano Bonaccini (PD).

E’ falso che per il Sud lo Stato spenda più che per il Nord. La spesa pubblica pro-capite nel Sud è pari a 13.394 euro, nel Centro-Nord è pari a 17.065 euro. Conte dovrebbe ricordarlo ai governatori leghisti

Ecco la prima fake news leghista da smentire: lo Stato spende per i meridionali più che per i settentrionali? Falso! Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte dovrebbe ricordarlo al presidente lombardo Attilio Fontana, al presidente veneto Luca Zaia e al presidente emiliano Stefano Bonaccini.

L’intera spesa pubblica pro-capite al netto degli interessi nel Sud è pari a 13.394 euro, nel Centro-Nord è pari a 17.065 euro. In Campania è pari a 12.084 euro, in Puglia a 13.042 euro, in Calabria a 13.605 euro, in Sicilia a 13.686 euro. Al contrario di quanto sostengono la Lega e il Pd del Nord, la spesa pubblica procapite in Veneto arriva a 14.188 euro, in Emilia Romagna a 16.375 euro, in Lombardia a 16.979 euro. Tale suddivisione della spesa pubblica, evidenziata in tabella 1, è profondamente iniqua e impedisce ai meridionali di accedere ai diritti di cittadinanza come i settentrionali.

Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna chiedono l’autonomia usando dei dati incompleti sulla spesa pubblica che rappresentano le loro regioni come quelle più povere nei trasferimenti dello Stato alle Regioni. Sul sito del Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie, sono stati pubblicati alcuni dati della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) per quantificare “quanto spende lo Stato per le competenze da trasferire”. I dati sono tratti dalla pubblicazione della Ragioneria Generale dello Stato dal titolo “La spesa statale regionalizzata” e riportano, per l’anno 2017, la stima provvisoria della spesa dello Stato con riferimento alla sola quota di spesa regionalizzata, quota che vale il 43,4% del totale della spesa dello Stato.

Attenzione, la stessa Ragioneria, nella suddetta pubblicazione “La spesa statale regionalizzata”, esplicita la parzialità di tali dati di spesa raffigurati in tabella 2. La spesa pubblica pro capite al netto degli interessi in Lombardia è pari a 2333 euro, in Emilia a 2669 euro, in Veneto a 2697 euro. Nel Centro-Nord è pari a 3375 euro, in Italia a 3539 euro, nel Sud 3853 a euro, in Campania a 3401 euro, in Puglia a 3350 euro, in Basilicata a 3718 euro.

Ma se la spesa statale regionalizzata è il 43,4% del totale della spesa dello Stato come si arriva al 100%? La differenza dell’ulteriore 56,6% è costituita da spesa non regionalizzabile (23,0%) e da erogazioni a Enti e Fondi, erogazioni considerate non regionalizzate (33,6%). La regionalizzazione della spesa statale si fonda sulla ripartizione territoriale dei pagamenti del bilancio dello Stato, come risultano dal Rendiconto Generale ed è effettuata eminentemente sulla base dei dati analitici disponibili presso i sistemi informativi della RGS (in particolare quelli sui mandati di pagamento), dati che permettono di estrarre informazioni utili all’allocazione territoriale, anche a livello di singola operazione di pagamento. Le tre regioni che chiedono l’autonomia sarebbero quelle più svantaggiate nel riparto della spesa pubblica. Per tale ragione pretendono una sorta di “restituzione” dal Sud.

Al contrario è il Sud ad avere diritto a una restituzione dal Nord. Non solo perché la tabella 2 riporta dei dati incompleti. Non solo perché alla spesa riportata in tabella 2 mancano i dati della spesa non regionalizzabile e i dati delle erogazioni a Enti e Fondi. Ma soprattutto perché, per conoscere veramente la spesa pubblica al Sud e al Nord, occorre usare i dati del sistema dei CPT, i Conti Pubblici Territoriali, sistema parte del Sistema Statistico Nazionale: i dati CPT comprendono i flussi finanziari (pagamenti definitivi e riscossioni effettivamente realizzate) dell’intero operatore pubblico, di cui la spesa dello Stato è una parte. Inoltre i dati CPT permettono analisi sia sulla Pubblica Amministrazione (PA) sia sul Settore Pubblico Allargato (SPA): esso comprende, oltre alla PA, i flussi finanziari di soggetti, nazionali e locali sui quali è presente un controllo (diretto e indiretto) da parte di Enti Pubblici.

Inoltre i CPT, grazie all’estrema articolazione dei dati e alla capillarità della rilevazione, monitorano il complesso delle risorse finanziarie pubbliche che affluiscono in ciascun territorio con caratteristiche di completezza, qualità, affidabilità e comparabilità e ricostruiscono gli effetti distributivi/redistributivi di ciascun soggetto.

In conclusione vediamo la differenza tra i dati RGS e i dati CPT. La spesa dello Stato, al netto degli interessi, di fonte RGS, intendiamo spesa dello Stato regionalizzata, nella media degli anni 2014-2016, è solo il 28,2% della spesa analoga della Pubblica Amministrazione e il 22,4% della spesa del Settore Pubblico Allargato di fonte CPT. Ultimo ma non meno importante, il 47,8% della spesa non regionalizzata dalla RGS riguarda le Politiche previdenziali, il 17,6% la spesa in Diritti sociali, politiche sociali e famiglia: sono due dei settori cruciali su cui Lombardia, Veneto ed Emilia chiedono l’autonomia regionale, e sono anche i settori la cui spesa è esclusa dalla regionalizzazione nei dati RGS dall’origine poiché gli erogatori finali sono gli Enti di previdenza ovvero Enti nazionali con spesa non regionalizzabile.

Che significa? Che la spesa per pensioni e welfare non è compresa nella tabella 2 e che Lombardia, Veneto ed Emilia se ne dimenticano. Inoltre alcuni servizi essenziali al cittadino (sanità, trasporti, servizi igienico-ambientali, ecc.), che incidono sia sulla qualità della vita sia sulla distribuzione delle risorse pubbliche, sono gestiti non dallo Stato, ma da altri soggetti, sia soggetti strettamente pubblici (come le Regioni/Asl per la sanità), sia soggetti partecipati da soggetti pubblici. Ergo focalizzarsi solo sulla spesa pubblica erogata dallo Stato, o dalla sola PA, può fornire una rappresentazione distorta della spesa pubblica.

Al contrario occorre analizzare la spesa pubblica pro-capite al netto degli interessi del SPA, il Settore Pubblico Allargato. Il periodo di riferimento è la media degli anni 2014-2016. In tabella 1 abbiamo i dati citati all’inizio. Qual è la differenza abissale con la tabella 2 pubblicata dal Ministro Stefani? In tabella 2 le quattro regioni più finanziate dalla spesa pubblica sono Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Lazio. In tabella 1 le quattro regioni meno finanziate dalla spesa pubblica sono Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Il sole non si può coprire con una rete.

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